LO SGUARDO AVANTI

 

 


La presentazione di un libro, può essere non solo un momento di crescita intellettuale ma anche umana. È quello che è successo venerdì 20 ottobre 2023 al Castello di Cisterna con Abdullahi Ahmed che ha presentato "Lo sguardo avanti. La Somalia, l'Italia, la mia storia" (Add) con Nicoletta Fasano. L’iniziativa è stata organizzata da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. S. Damiano, Comune e Museo Arti e Mestieri di un Tempo di Cisterna con Fra Spa, Israt, Lib. "Il Pellicano" e Aimc di Asti.


Abdullahi Ahmed è nato nel 1988 ed è arrivato in Italia nel 2008. Oggi è cittadino italiano. Per il Festival dell’Europa Solidale e del Mediterraneo, ha ricevuto il “Premio Altiero Spinelli” da parte della Commissione Europea. Tra le motivazioni del premio, la giuria si è così espressa: ”Il Festival è una grande opportunità per conoscere il significato del Manifesto di Ventotene e i suoi valori fondanti per la creazione dell’Unione Europea. Inoltre, incoraggia i partecipanti a giocare un ruolo attivo nei processi democratici europei.” È il primo rifugiato politico arrivato con un barcone a Lampedusa, a essere eletto consigliere comunale a Torino.
Il libro – come ha sottolineato in apertura Nicoletta Fasano - mette avanti la storia di un migrante che compie un viaggio di 7000 km, attraversando 5 Paesi in un anno. La parola viaggio, per noi, indica una vacanza, in questo caso ha un valore diverso perché è quello che compie un esule che, come dice Greppi, è consumato dalla nostalgia. Un anno di sospensione dove non è possibile progettare la propria vita in un gioco di presenze e assenze. Ogni tappa va conquistata, pagata e, troppo spesso, il prezzo è la vita stessa.
“Si dà per scontato che tutti coloro che arrivano in Africa partano dal nord Africa. In realtà il viaggio è iniziato migliaia di chilometri prima. Il mio parte dalla Somalia dove scoppia la guerra quando avevo tre anni. La chiamano guerra civile ma la guerra è sempre incivile. Ho vissuto così per 16 anni, senza diritti. Avrei dovuto studiare ma ciò non mi era garantito a tutti e questo aspetto spesso non viene raccontato. Nessuno sceglie dove nascere. Io nasco a Mogadiscio. Ho frequentato una scuola privata perché non c’era più quella statale per responsabilità dei somali. I nostri genitori hanno fatto di tutto per noi. Ad un certo punto, per me che ero il figlio maggiore, è venuto il momento di aiutare. Intanto, accade un altro fatto. La guerra si trasforma: entra in gioco l’Etiopia. Quando ho visto svanire ogni speranza, ho capito che dovevo andare via ma non avevo soldi perché ero uno studente. Ma, oltre a questo, ci sono altre ragioni per partire anche se oggi non si vogliono considerare i migranti economici. Il mio non era solo un Paese in guerra, ero anche un migrante economico. Forse, se non ci fosse stata la guerra, non sarei partito. Avrei voluto arrivare con un aereo ma, ancora oggi, è impossibile. I passaporti hanno una classifica che viene aggiornata. Chi arriva da certi Paesi non può andare dove vuole ma un occidentale sì. Nessuno garantisce a chi arriva da un Paese con guerra dimenticata di spostarsi. Questa è ingiustizia. Oggi posso andare dove voglio ma nel 2008 non potevo. Però sono sempre io, è solo cambiato il mio status. Quando sono partito nel 2007, non esistevano gli smartphone, non avevo informazioni e questo è il rischio: l’incertezza di non poter sapere e parlare con nessuno. Sono andato in pullman fino al confine, poi a piedi. Ho superato il Sahara. Non vengono mai raccontati tutti i morti lungo la strada. Questa è stata la parte più difficile, non attraversare il Mediterraneo. Ho sofferto tanto freddo. Se si fermava il mezzo su cui viaggiavamo, non avrei saputo a chi chiedere aiuto. In Libia c’era Gheddafi, l’economia era fiorente e il Paese stabile ma, allora come oggi, c’erano prigioni sia private che pubbliche. E oggi l’Italia chiede una tassa a chi ha già vissuto queste esperienze. Ma hanno approfondito ciò di cui stanno parlando? Il viaggio è stato duro, lungo, difficile ma mi ha fatto crescere tanto. Prima di pensare a me, ho pensato alla mia famiglia e al motivo per il quale ero partito”
Nicoletta Fasano ha ricordato proprio i numeri di chi si perde, del ricordo che manca di queste vite… come non fossero mai esistite.
“Oggi quando sento la parola integrazione, le preferisco interazione. Chi arriva si deve integrare con la cultura italiana ma qual è se non la conoscono neppure gli italiani che vivono da sempre in questo Paese? La prima cosa è imparare la lingua. Io ho voluto farlo a tutti o costi. Volevo lavorare, avere cittadinanza. Però bisognerebbe ricordare che anche l’Africa ha tante lingue. Sarebbe importante far capire che anche chi arriva è portatore di esperienze, una storia e una cultura e potrebbe volerle condividerle. Se parlo di integrazione, intendo una società ferma. L’interazione, invece, presuppone scambio e condivisione. Oggi faccio parte della comunità italiana ma ho anche un passato. Sono arrivato qui ma, se avessi avuto un passaporto, avrei scelto il Nord Europa dove è più semplice ottenere la cittadinanza. Oggi l’Europa è il posto migliore per vivere perché si hanno più diritti… ma sarà così per sempre? I ragazzi di Ventotene, tanti anni fa, hanno pensato a un futuro migliore pur vivendo in grandi difficoltà. Oggi ne dobbiamo superare altre ma sono convinto che, in futuro, anche il Senato arriverà ad accogliere la presenza di senatori migranti. Per me è cittadino di un Paese chi dà contributo concreto alla propria comunità. Bisogna smettere la guerra del noi e voi”.
Abdullahi ha fatto riflettere su molti aspetti: il diritto di tutti di poter aspirare a migliorare la propria vita e seguire le proprie inclinazioni; l’Italia non è un Paese appetibile ma solo un luogo di approdo iniziale. In particolar modo, ha sottolineato che “diventare cittadini” deve essere una scelta che si fa ogni giorno e che tutti (italiani da generazioni o meno) dovremmo fare. Non accade per osmosi. Infatti, ciascuno è portatore di una storia, saperi, tradizioni che possono essere messi a disposizione del posto in cui si vive. Per questo, preferisce parlare di interazione e non integrazione perché la prima prevede un atteggiamento attivo e uno scambio reciproco arricchente per la costruzione di un futuro migliore per tutti.
Giovanna Cravanzola


Stampa   Email