“Porrajmos. Lo sterminio dei Sinti e dei Rom”, la videoconferenza del 16 gennaio 2025 ha aperto un universo di riflessioni che la maggior parte dei presenti non avevano mai approfondito. A discuterne, Luca Bravi ed Eva Rizzin. L’ incontro è stato organizzato da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano e Museo Arti e Mestieri di un Tempo con Comune di Cisterna, Gruppo di Studi Ebraici di Torino, Ass. “F. Casetta”, Libreria "Il Pellicano" Aimc di Asti in occasione della Giornata della Memoria e in attesa dell’ 80esimo Anniversario della Liberazione. Luca Bravi è
ricercatore presso il Dipartimento di Formazione, lingue, intercultura, letterature e psicologia dell’Università di Firenze dove insegna Storia dei processi comunicativi e formativi. Si occupa di storia sociale dell’educazione in relazione alle politiche d’inclusione in Europa, di storia dei media rispetto alla loro influenza sui contesti di formazione ed educazione e di processi storici di costruzione della memoria europea in particolare in riferimento alle comunità rom e sinte. Eva Rizzin è borsista di ricerca presso il Dipartimento Formazione, Lingue, Intercultura, Letterature e Psicologia (Forlilpsi) dell’Università di Firenze e Dottore di Ricerca in Geopolitica, è responsabile scientifico dell’Osservatorio nazionale sull’Antiziganismo istituito presso il Centro di Ricerche Etnografiche e di Antropologia applicata “Francesca Cappelletto” (CREAa) dell’Università di Verona. Ha partecipato a progetti di ricerca nazionali e internazionali su temi dello studio dell’antiziganismo e della rappresentazione politica e mediatica delle comunità rom e sinte.
Porrajmos (“Grande divoramento”, “Distruzione”) o Samudaripen (“tutti morti”). Così le persone rom e sinti chiamano lo sterminio perpetrato contro di loro durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo genocidio è rimasto per decenni colpevolmente avvolto nell’oblio. I sopravvissuti e le sopravvissute hanno custodito e tramandato all’interno delle comunità sinte e rom il fardello insopportabile della memoria, che solo da una decina d’anni viene condiviso da alcuni segmenti della società italiana. Fare memoria di ciò che è successo significa prendere coscienza delle responsabilità di ieri, per affrontare oggi con fermezza il pregiudizio, l'odio e la discriminazione che colpiscono le persone rom e sinte. In Germania questo percorso è iniziato nell’aprile del 1980 quando il Parlamento tedesco ha riconosciuto che sinti e rom erano stati oggetti di una persecuzione razziale.
Il prof. Bravi ha iniziato il suo intervento sottolineando che, per molto tempo, la memoria del genocidio di rom e sinti è stata sopita e, a causa della scarsa connessione con queste comunità, non si è dato molto spazio esterno a questo racconto a livello pubblico per via del pregiudizio che li ha tenuti a distanza per tanto tempo. Si tratta di COMUNITÀ TRANSNAZIONALI che arrivano in italia nel 1400. Sono con noi da secoli, la loro storia si interseca con quella italiana e condividiamo la cittadinanza. Sono circa 180 000 nel nostro Paese e la maggioranza ha cittadinanza italiana. Solo negli anni ‘90, a causa della guerra, iniziano ad arrivare dai Balcani ma, anche in questo caso, il pregiudizio prosegue. Successivamente provengono anche da Romania e Bulgaria per l’allargamento della Comunità europea.
Conoscere è essenziale ma, per far questo, è necessario un percorso fatto insieme alle comunità perché solo le relazioni possono darci strumenti per comprendere e frequentare le comunità di oggi ed è possibile solo con l’aiuto di persone capaci di fornirci chiavi di lettura per attraversare il passato e arrivare al presente.
“Dobbiamo cercare di costruire una memoria con comunità che vengono emarginate anche rispetto alla loro storia che non è affatto secondaria neppure rispetto ad Auschwitz e anche il 27 gennaio non deve far dimenticare l'universo concentrazionario che termina dopo mesi ma anche la storia delle marce della morte e, soprattutto, tutto quello che ha determinato lo sterminio. Ad Auschwitz era categorizzata come una zona come Zigeunerlager e, dal febbraio ‘43 fino al 2 agosto ‘44 vi furono internati rom e sinti, considerati esseri inferiori e utili per esperimenti medici” ha detto Bravi.
Infatti, partirono dall'india e provenivano dalle stesse zone alle quali gli ariani attribuivano le proprie origini. Per questo motivo i nazisti li consideravano imbastarditi perché, nel loro vagare, si erano uniti alle popolazioni incontrate, soprattutto ad est. Quindi erano considerati una popolazione ottima per condurre esperimenti. Nel campo arrivarono circa 23 000 sinti e rom provenienti da tutta Europa e, il 2 agosto 1944, cominciò l’eliminazione finale.
Di tutti loro si conoscono i nomi grazie a un deportato polacco, Tadeusz Joachimowski che, sapendo scrivere, doveva annotare su due libri nomi e cognomi delle persone prima che diventassero matricole. Erano registrati con la lettera Z e quindi, oggi, il termine zingaro ha un’accezione negativa perché proviene dal nazifascismo. Il dott. Mengele aveva il suo laboratorio proprio in questo settore dove, comunque, le famiglie sinti e rom non erano separate, non indossavano divise né i capelli venivano loro tagliati e le donne potevano partorire ma le condizioni in cui erano costretti a vivere erano indescrivibili e causarono innumerevoli morti.
Quando i deportati di questo settore furono tutti eliminati, Tadeusz nascose i registri e li sotterrò dentro un secchio di lacca. Per fortuna sopravvisse, tornò e ritrovò gli elenchi restituendo un nome a tutte queste persone. Però rimase anche qualche altra testimonianza perché, il pomeriggio precedente, gli uomini più forti furono deportati a lavorare altrove.
infatti, il campo doveva essere già liquidato ma il 16/5/44 ma rom e sinti si opposero e respinsero le guardie. Li aveva avvisati Tadeusz. Le guardie avrebbero potuto avere la meglio ma non volevano innescare altre rivolti più forti nel campo.
Per questo, ad agosto, erano stati allontanati gli uomini più forti. Tutto ciò è legato al tema della rieducazione e, successivamente, allo sterminio.
Eva Rizzin ha ritrovato i nomi dei parenti materni di sua madre durante una visita con la famiglia ad Auschwitz. “Volevo visitare questa zona ma la guida disse che non c’era nulla di importante. Entrai lo stesso e trovai, tra gli altri, nomi di parenti. Dieci anni dopo, andai con una visita organizzata e conobbi meglio questa storia. La mia famiglia proviene dalla Baviera dalla quale erano fuggiti a fine ‘800 a causa delle persecuzioni. Spesso ci chiamano zingari e nomadi ma nomadismo non è l’ aspetto integrante della nostra cultura mentre ciò che caratterizza è la politica persecutoria. La mia famiglia non venne in Italia per via del nomadismo culturale ma perché, già allora, in Germania c’era una persecuzione. Alcuni dei miei parenti furono arrestati in campi italiani e altri in quelli di concentramento nazisti. I nonni mi raccontavano ma poi ho avuto conferme dal prof. Bravi. Nel 1905, in Germania, vennero schedati non per reati commessi ma per la loro appartenenza. Comunque considerati pericolosi, vennero deportati più velocemente. Il nonno e il bisnonno furono espulsi e giunsero in Italia. Tutti gli altri della famiglia finirono a centinaia tra gli internati (nel blocco 13). Gli altri arrivarono in Piemonte. Erano circensi e musicisti. Non erano pericolosi ma vennero comunque perseguitati dai fascisti. Il 2 agosto 1944, quando venne liquidato il campo, Luigi Sagi, Piero Terracina, Liana Millu, Nedo Fiano… videro e hanno raccontato di quella notte lasciandone testimonianza. Grazie a questi ebrei da ricordare anche per la comunanza dei destini”.
Sinti e Rom – ha proseguito Bravi – erano considerati pericolosi per il nomadismo (poichè scacciati, erano sempre pronti a muoversi se arrivavano azioni di odio) e asocialità cioè per l’ incapacità di vivere tra gli altri e ancora oggi ci sono questi sterotipi che ancora sono diffusi anche in chi pensa di non essere portatore di idee razziste. In Italia l’antiziganismo conta percentuali altissime. La storia permette un riconoscimento e una presa di coscienza.
Oggi ragazzi rom e sinti nascondono spesso la propria appartenenza per via di stereotipi antichi.
Per capire ogni persecuzione, bisogna fare un percorso per comprendere da dove proviene l’esclusione a partire dal pregiudizio.
Purtroppo su sinti e rom sono stati fatte misurazioni, esperimenti che, spesso, li hanno condotti alla morte o hanno determinato la sterilità. Un percorso ci fa capire che la loro colpa era di essere nati.
Due persone fondamentali, tristemente, in questo campo sono stati Robert Ritter e la sua assistente Eva Justine che studiarono le caratteristiche razziali di sinti e rom anche attraverso misurazioni, calchi, campionamenti di capelli, prelievi di sangue.
Dal ‘36 la popolazione viene schedata con la motivazione che i nomadi sono antisociali per tare ereditarie. Lavorano molto sui bambini.
In Germania, nell’orfanotrofio “San Josefspflege” di Mulfingen, Eva Justin scrive la sua tesi “I destini dei bambini zingari”.
Sostiene che da decenni si è tentato di includerli nella scuola. È possibile includerli nella società? A suo avviso no, non sono rieducabili i bambini sinti e rom.
Questi ultimi sono ospitati nell’orfanotrofio perché i genitori sono stati arrestati. Sono diversi e problematici ed il nomadismo è insito in loro a livello ereditario. Quando si contanto 40 bambini, arriva un pulmino e viene detto loro che andranno in gita a divertirsi, tutti ben vestiti. La bambina n° 40, ha un nome che non è stato inserito e che non sembra sinto. Allora protesta e una suora, schiaffeggiandola, le salva la vita perché così non parte.
Tutti gli altri sono portati in un vagone piombato che arriva ad Auschwitz dove scompaiono ad agosto.
Affrontare questi temi: la persecuzione, la deportazione e lo sterminio di rom e sinti, non diminuiscono l’importanza della Shoah ebrea.
Qualcuno riuscì a salvarsi come Otto Rosemberg ma perse tutta la sua famiglia. Pubblicò la sua storia pubblicata da Marsilio dove narrò tutta questa terribile storia anche l’incontro con Eva Justine che riteneva amica.
Un altro aspetto da sottolineare è stata la testimonianza degli ebrei internati e sopravvissuti perché grazie alle loro testimonianze è stato possibile ricostruire lo sterminio dei sinti e dei rom perchè ci sono testimonianze ebraiche.
La memoria è un mosaico e servono tutti i tasselli quindi persone di varie provenienze danno voce a tutto questo.
Liana Millu, testimone della liquidazione del campo per sinti e rom, scrisse: “Il cielo era rosso come non lo avevo mai visto... quella notte, sembrava che tutto il cielo bruciasse"
In questo settore, le famiglie non erano separate, i deportati non erano rasati e indossavano i propri abiti. Pietro Terracina diceva di essersi sentito geloso di quel campo perché le famiglie erano unite e si sentiva la musica.
Andando alla Liberazione, dobbiamo chiederci che fine hanno fatto i persecutori.
Ritter e Justine ritornano ai loro mestieri e il loro archivio non viene né distrutto né nascosto ma finisce nelle mani di Herman Arnold, un ufficiale medico tedesco, che riprende le carte dei suoi amici e rielabora le stesse teorie di sterilizzazione coatta ripulendo vocabolario (diversi e inferiori non per razza ma per cultura).
Ciò gli permette di diventare il maggior ziganologo degli anni ‘60 - ‘70 – ‘80 riprendendo le teorie razziste. La cultura sinta e rom era problematica e non prevedeva un mutamento. E questo produce un effetto che ritorna nella scuola quando, a metà degli anni ‘60, si cercò di portare i bambini a scuola con l’ Opera Nomadi.
Le intenzioni erano ottime ma i risultati furono scarsi.
“Molti sinti e rom si scoprirono, e si scoprono, diversi e "zingari" proprio a scuola, spesso alla primaria. A mia madre è successo così. Andavano nelle classi speciali (dal ‘62 all’ ‘82) perché si riteneva che sinti e rom avessero un quoziente intellettivo inferiore. Anche a io ho scoperto di essere diversa a scuola, quando mi dissero che ero zingara e che non potevo giocare. La maestra era eccezionale ma io provai un grande dolore. Il nonno materno ci aveva detto di rifiutare la parola zingaro (termine eteronomo) perché non ci identificava. Per noi zingaro equivale allo tzigoiner fascista e ancora oggi richiama gli stessi pregiudizi di allora. Questo genera grandi sofferenze in bambini e adolescenti perché non tutti hanno la possibilità di costruire l’importanza della loro appartenenza. Ciò induce alla negazione identitaria che è l’emblema dell’antiziganismo. Per capire che la mia identità non è un problema, ho dovuto attraversare tutto ciò” ha detto Eva Rizzin.
L’ 83% italiani sinti e rom sono percepiti negativamente e questo va di pari passo con il razzismo. In Italia l’antiziganismo è altissimo. Oggi sinti e rom chiedono di uscire da tutto ciò, di essere coinvolti nel dibattito pubblico. Nuove generazioni cercano di produrre significati e contenuti per cambiare questa rappresentazione ma le barriere da superare sono infinite.
Le cose cambieranno quando rom e sinti potranno analizzare gli effetti di questa esclusione e parlare positivamente della propria cultura.
Per molto tempo sinti e rom, ad esempio, non hanno parlato della storia della propria comunità come se non si conoscesse il capitolo delle persecuzioni ma non è stato così.
Si conosce la vicenda di sinti e rom partigiani come Amilcaro Corsaro Taro De Bar di Frossasco, staffetta partigiana di un gruppo garibaldino.
Questi intrecci sono inaspettati e interessanti e bucano un’immagine stereotipata. Sono uno strumento per costruire spazi di incontro con il presente.
L’importante è il racconto della storia di tutti perché la conoscenza è uno strumento essenziale.
IGiovanna Cravanzola