SPEZZARE L'ITALIA

Giovedì 5 dicembre 2024 alle 18, Francesco Pallante ha presentato “Spezzare l’ Italia. Le regioni come minaccia all'unità del Paese” (Einaudi) discutendone con Luca Anibaldi. L’iniziativa è stata dedicata al centenario della nascita di Giacomo “Rino” Rossino nel centenario della sua nascita (S. Damiano d’Asti, 4 dicembre 1924 – Cisterna d’Asti 6 marzo 1945) e a tutti coloro che hanno combattuto per un Paese libero e unito come ha ricordato in apertura Anibaldi. L’incontro è stato organizzato dal  Polo cittattiva per l’astigiano e l’ albese – I.C. S.Damiano e Museo con Comune di

Cisterna, Israt, Lib. "Il Pellicano" e Aimc di Asti.

Francesco Pallante  è professore ordinario di Diritto costituzionale all'Università di Torino. Collabora con «Il manifesto». Tra le sue ultime pubblicazioni: con Gustavo Zagrebelsky, Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali (2016); Per scelta o per destino? La Costituzione tra individuo e comunità (2018), Elogio delle tasse (2021). Per Einaudi ha pubblicato Contro la democrazia diretta (2020) e Spezzare l'Italia. Le regioni come minaccia all'unità del Paese (2024). 

Luca Anibaldi è tra gli organizzatori delle iniziative del Polo cittattiva per l'astigiano e l'albese, volontario del Museo Arti e Mestieri Onlus di Cisterna d'Asti. Fa parte della rappresentanza sindacale dell'azienda informatica in cui lavora e anche del Direttivo provinciale della Filcams/Cgil dal 2020 e ha fatto parte di quello dello Fiom/Cgil dal 2013 al 2019.     

Tre regioni, le più ricche, chiedono l’autonomia differenziata prendendo una strada diversa dalle altre. La Consulta si è espressa sulle funzioni e non sulle materie. “Ma come si è arrivati a tutto ciò?” con questa domanda Luca Anibaldi, che ha anche illustrato semplificando i vari passaggi, ha introdotto la questione.   

Come ha sottolineato il prof. Pallante, esistono due modelli di Stato: il primo è centralizzato mentre il secondo è di tipo federale come la Germania o gli Usa. I nostri costituenti trovarono una terza via tenendo conto delle diversità territoriali attraverso le regioni ma anche, in polemica con il fascismo, di non ricostruire uno Stato centrale troppo potente. Tutto ciò, in ogni caso, generò un dibattito tra i partiti. I socialisti, ad esempio, volevano un’unica voce proletaria mentre la Democrazia Cristiana più regionalismo cosa che arrivò a definire. Successivamente, con l’arrivo della Costituzione, le parti si invertirono fino agli anni ‘70 quando si arrivò all’istituzione delle Regioni. Questo modello costituzionale prevedeva che le competenze amministrative fossero in corpo allo Stato ma anche leggi cornice dove i territori potessero legiferare. Nel 2001, venne poi stilato l’elenco di tutte le materie di competenza Stato e Stato/Regione. Quanto non elencato diventa di competenza esclusiva delle Regioni mentre prima era dello Stato.

“L’autonomia – ha detto Anibaldi – vorrebbe avvicinare i cittadini ai territori tramite la sussidiarietà. Il pubblico interviene solo quando il cittadino non riesce a risolvere i suoi problemi attraverso risorse proprie. Il saggio, puntualmente, contesta ogni punto di questa prospettiva offrendo delle risposte”.

Alla base di tutto ciò, la supposizione che il cittadino possa controllare meglio se tutto ciò accade vicino a lui. “Un’ideologia – ha detto Pallante – e lo dimostra il fatto che si vota molto meno sia per regionali e amministrative che per le politiche. I cittadini non sono solo razionali ma anche emotivi. Rispetto alle prestazioni regionali per la gestione del covid 19, la Lombardia ha raggiunto tristi primati. Nonostante ciò, sono stati rieletti gli stessi partiti e politici anche nei comuni dove tutta questa vicenda è partita. Spesso ciò accade anche grazie a chi vuole favorire la malversazione. Ovviamente non bisogna tenere lontani i cittadini dalla politica, verificare le situazioni singole e tutelare i sindaci rispetto a quelle decisioni che sarebbe meglio prendessero i prefetti”.

In questo modo, nel corso degli anni, la questione meridionale è stata sostituita da quella settentrionale passando dalla Lega al centro sinistra e essere realizzata, alla fine, dal governo Prodi.

A metà degli anni ‘70 – come ha precisato Pallante – nascono diverse leghe federate e anche Craxi nel ‘90 va a Pontida proponendo un’Italia presidenzialista, federalista e con una riforma della giustizia. Ma il primo a lanciare l’idea di una lega padana è Guido Fanti del Pc partendo dal presupposto che le regioni produttive del nord dovessero interloquire direttamente con Bruxelles bypassando Roma per ottenere i fondi. La questione meridionale, quindi, perse interesse sostenendo l’impossibilità di fare di più. La Lega Nord ripropose il tema con forza, imponendo il dibattito. Nel ‘97, ritentò Bassanini e, nel 2001 venne approvata la riforma della Costituzione con un governo di sinistra. La Lega, a quei tempi, avrebbe voluto di più ma vennero ampliati i poteri delle Regioni. Con questa mossa, la sinistra si illuse di captare i voti della destra ma anche di eliminare i partiti con un rapporto verticale con i leader ma tutto ciò non funzionò.

Intanto, dal ‘48 al ‘70, vennero precisate le competenze regionali e non è chiaro perché, nel 2001 con la riforma del titolo V, fu necessario  rimarcarle ulteriormente.

“Le regioni del nord – ha spiegato Pallante – sostengono di pagare molto più di quanto ricevono. Ma le Regioni pagano le tasse? A farlo, in realtà, sono i cittadini. Per questo le Regioni non ricevono spesa pubblica che, invece, viene elargita ai cittadini secondo i propri bisogni. I territori non condizionano tutto ciò perché non pagano le imposte. Chi è più ricco assolve il suo dovere alla solidarietà rispetto ai connazionali meno abbienti. Trattenere  il residuo delle tasse a livello regionale e non nazionale, è come sostenere l’esistenza, ad esempio, di un popolo piemontese e non italiano. Si arriva al paradosso di essere solidali solo con se stessi distruggendo la società. Nel 2001 vengono dati maggiori poteri alle Regioni ma, per evitare il rischio di creare disuguaglianze, bisogna fare in modo che siano individuate prestazioni essenziali e anche un costo standard. Facendo la sommatoria di tutto, è possibile individuare la quota da assegnare a ogni Regione per gestire l’eguaglianza. Però non sono stati individuati tranne per quanto riguarda la sanità perché ci si è resi conto che sarebbe stato necessario erogare miliardi per il sud. Allora si è stabilito di investire sulla spesa storica cristallizzando le differenze e, anzi, aumentando le disuguaglianze. Da anni, infatti, il nord è favorito anche se il sud ha la sua parte di responsabilità. Nel 2001, inoltre, viene fatta un’altra modifica al comma 3 dell’art. 113 dove si sostiene che le Regioni possono chiedere ulteriori competenze dove sono competenti con lo Stato e su altre per le quali lo Stato ha competenza esclusiva. Si tratta di circa 500 funzioni che possono essere richieste. Il punto delicato è che, se la stessa funzione può non essere richiesta da tutte le Regioni procurando una polverizzazione dell’amministrazione statale con conseguenti aumenti di burocratizzazione e costi. Oggi la Corte Costituzionale ha stabilito che la legge Calderoli sull’autonomia differenziata è incostituzionale. La Lega, però, continua a sostenere questa linea e la questione rimane aperta con il referendum per la sua abrogazione. Purtroppo è una trappola perfetta perché, se si attiva questo meccanismo, tornare indietro sarà impossibile”.

Giovanna Cravanzola


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