TOJU E LA SUA XILOTECA

La presentazione del volume Toju e la sua xiloteca. Raccolta delle specie legnose di Langa e Roeroha aperto gli incontri del mese di giugno organizzati dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano, Museo Arti e Mestieri e Proloco, Comune e Caritas di Cisterna con Fra Production Spa, Israt, Libreria "Il Pellicano" Aimc di Asti. L’incontro si è tenuto sabato 8 giugno al Castello di Cisterna d’Asti. Ne hanno discusso con Enrico Rivella (consulente Ismea per la

valorizzazione del paesaggio rurale), Donatella Murtas (architetta e Coordinatrice tecnico-scientifica dell’Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite), don Gino Chiesa (direttore dell’ufficio Missionario Albese), Maria Ferrari (custode della Xiloteca e della casa abitata da Toju). L’iniziativa è stata dedicata al ricordo di don Vittorio Delpiano, uomo attento, curioso, interessato all’ambiente, alle persone e all’approfondimento delle sacre scritture, dedicò molto del suo tempo alla lettura e alla ricerca che gli consentirono di realizzare molte opere: icone, mosaici, muretti a secco e la xiloteca. Un uomo che, in apertura, Enrico Rivella ha definito come forte sia in spirito che in materia. “Ambiente, storia e spiritualità erano l’essenza di Toju – ha proseguito – che decise di insediarsi a S. Benedetto nel ‘78 con l’idea di costruire una comunità”.

Come ha sottolineato Maria Ferrari, in paese erano arrivati in tre con l’idea di creare una comunità ispirandosi a S. Benedetto. Il luogo li aveva incantati, la prima abitazione si trovava lungo il corso del Belbo ed era stata chiamata Casa Bianca. Successivamente si arrivò alla sede attuale dopo una ricerca attenta per trovare la casa idonea.

Avevamo trovato la foresteria diroccata di un monastero e il contratto venne stipulato a voce. Il proprietario avrebbe messo a disposizione i materiali e noi la manodopera per la ristrutturazione. Il motivo di fondo era l’idea di guadagnarsi il pane con il lavoro e la vita comunitaria. Toju era un prete apparentemente poco prete ma, in realtà, molto profondo. Il senso dell’accoglienza era anche nell’ascolto senza precludere nulla a nessuno perché anche Gesù era vissuto così. Volevamo cercare nell’autotenticità del Vangelo il senso della nostra vita. La porta è stata ed è aperta a tutti anche a chi è critico rispetto alla fede. Nella convivialità, infatti, c’è un concetto non scontato del Vangelo. La fede è relazione personale con Dio. Toju era un uomo convinto che occorresse essere felici essendo liberi (di pensare, di scoprire Dio… ) e incontrare gli altri attraverso i quali vedeva Dio” ha detto la Ferrari.

Una ricerca di Dio anche attraverso la natura come hanno sottolineato Rivella e Donatella Murtas. Quest’ultima ha collaborato con don Delpiano a partire da un progetto europeo relativamente alla lavorazione della pietra di Langa e ai terrazzamenti, conoscenze che si stavano perdendo.

Tutto era pietra – ha proseguito la Murtas – e abbiamo viaggiato in Europa per confrontarci su questi temi. Ho speso e acquisito competenze con questo progetto. Toju è stato disponibile ad insegnare le tecniche ma anche il senso dell’abitare. Cresceva coerenza ma anche consapevolezza dell’importanza delle competenze senza lasciar perdere ma diffondendo il senso di comunità. E noi lo eravamo in viaggio. Il desiderio era riappropriarci dell’alfabeto dei nostri luoghi. Andava anche a incontrare gli altri ed era sempre alla ricerca di significati. Ad un certo punto, scattò in lui il desiderio di capire i viventi vegetali: all’interno di una massa indistinta del bosco, diventò capace di riconoscerli uno ad uno. Una ricchezza infinita che, forse, era stata già studiata ma Toju l’ha fatto in modo empatico ed è questo il fascino della sua ricerca. Si sente l’umanità nei confronti di tutti i viventi e l’attenzione all’Alta Langa. Il suo lavoro è stato molto divulgativo. Lavorava la pietra con abilità creando bellezza. Aveva ricreato un mondo dove ci si sentiva a casa e, soprattutto, si percepiva grande senso di libertà. Tutti si andava nella casa di Toju perché si stava bene. Ha percepito che, se non avesse ricercato queste cose, si sarebbero perse. Era una magia e Toju era un costruttore di futuro”.

Don Chiesa ha ricostruito l’incontro con lui, precedente alla vita a S. Benedetto. Era un bimbo irrequieto ed ebbe la fortuna di conoscere preti illuminati in seminario. Si incontrarono a Castagnole Lanze dove lavorava come prete operaio in una ditta per la lavorazione della ghiaia. Dopo un anno decise di andare a S. Benedetto. Si era trasferito da solo ma senza uscire dal circolo degli amici. “La sua biblioteca – ha proseguito don Chiesa – conserva 4 000 volumi perché intenso è stato il suo lavoro di conoscenza. Non era uno sbruffone come molti credono ma era attento e rispettoso di tutto. Aveva capito che se un cuore è di pietra, è l’inizio di una crisi ma la pietra è bellezza ed è l’inizio di una costruzione che accoglie e incanta. Ha accolto le persone come faceva con le pietre, mettendole a posto. Aveva una grande molteplicità nel suo linguaggio ed è stato per me un grande fratello. Ha vissuto anche qualche delusione, non tutto è stato chiarito e gradito anche all’interno della Chiesa. In Lnaga rimane le nostalgia per Toju che ha aiutato tanti a cercare la verità nella terra, nella pietra, tra gli alberti e gli umani che nessuno vuole”.

Il libro – come ha evidenziato Rivella – raccoglie la sua xiloteca composta da 125 piante. Il suo lavoro era ancora itinere ma, per quanto incompleto, si pone come un’opera di alfabetizzazione su un patrimonio arbustivo importante che coinvolge anche piante non del territorio (di abbellimento o invasive).

Toju voleva farne conoscere la bellezza. Vivere in Langa – ha proseguito Rivella – è capire una biodiversità che non esiste altrove. Era anche una apicultore. Prima di morire, aveva lavorato anche alla realizzazione di un museo botanico. Aveva la crisi ecologica ben presente e avrebbe voluto ricostruire una comunità di territorio. Per quanto mi riguarda, sto cercando di creare una rete di aziende che praticano un’agricoltura diversa e il suo messaggio parla ancora. Nella mappa storico rurale dell’Alta Langa Toju è presente”.

La comunità di S. Benedetto, fino a dieci anni fa, ha cercato di darsi delle regole ma alla fine si è scelto di unirsi a quella di Bose. È rimasta una piccola fraternità composta da Toju e Lorenzo che, successivamente, si è dedicato al volontariato. Quindi il progetto di creare una comunità non è andato in porto ma, comunque, è stato tenuto insieme dalla fede in un Dio buono, accogliente e che si manifesta nella vita concreta: Gesù incarnato nel presente.

Oggi le attività della casa continuano con l’intento iniziale perché, come ha sottolineato in conclusione Maria Ferrari, l’amore è l’unica cosa che non muore mai.

Giovanna Cravanzola


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